STATIONTOSTATION-SABBAGH - Techne Contemporary Art

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Mustafa Sabbagh
anthro-pop-gonia, 2015
installazione audio-video: 7 video HD su 7 schermi LCD, color, loop, dimensioni ambientali
@ Salone dei Mosaici, Stazione di Messina Marittima

La grande storia dell’umanità, come rilevava Borges, è la costante riattualizzazione del mito; invitato da Station to Station, Mustafa Sabbagh reinterpreta il tópos classico del viaggio attraverso la sua celebre installazione video anthro-pop-gonia, dittici orfici che contestualizzano un uomo nel suo Parnaso metropolitano, piaceri cinetici figli dello stesso appagamento transitorio di una partita vinta a God of War.
Alle origini della cultura, il mito è icona. Nella storia dell’arte, è iconografia. Nella cyber-era contemporanea, immediata e morbosa come una chat-room, il mito è iconoclasmo: non più la devozione di Pigmalione, il pegno d'amore di Arianna, l'eroismo fondativo di Teseo, ma la loro immagine avatar, foto-profilo da social, patologia narcisistica auto-innamorantesi.
Come in un sim-po(p)-sio di dei pronti a fare festa, come un’anthro-pop-gonia la cui massima generatrice è di vizio, virtù, il compendio di mitologia contemporanea di Mustafa Sabbagh è ambientato in un Olimpo(p) di uomini il cui mito, la storia da raccontare, è esattamente il vizio che li connota, la cui mitizzazione è data dalla sua stessa mediatizzazione: dimmi che vizio hai, e ti dirò che mito sei.
«Le memorie di identità culturali smottano, si ibridano: nei video allineati di anthro-pop-gonia alcune figure del Mito – Leda, Ares, il Minotauro – si metamorfizzano in abiti e fisionomie contemporanei (è il filo conduttore di un artista quale Matthew Barney), spostando sul versante del perturbante un'impeccabile eleganza glam»
Sergio Troisi, Bianco e nero per creare un teatro della memoria, Repubblica, 2016

«Nella videoinstallazione anthro-pop-gonia, il Mito è simbolo che nulla è come si racconta o come appare e l’Olimpo non è Paradiso, così come media e social networks non sono negativi o positivi in assoluto, ma ambigue piazze dove cercare il proprio filo di Arianna per trovare la propria strada e l’uscita dai personali labirinti»
Barbara Martusciello, Mustafa Sabbagh non dimentica e cerca l’umanità, Art a part of cult/ure, 2016

«Per dare forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici. E questo è quello che Sabbagh fa riportando in auge i più celebri Miti, i quali tuttavia si manifestano soltanto a partire dalle loro devianze. Così, nella videoinstallazione anthro-pop-gonia, ci si ritrova faccia a faccia con un’Arianna squillo, un Minotauro culturista, una Leda zoofila, in barba ai principi winckelmanniani, ad impersonare le sacre nevrosi del contemporaneo»
Giulia Colletti, XI Comandamento: Non dimenticare, The Mammoth Reflex, 2016
Mustafa Sabbagh (Amman, 1961, vive e lavora in Italia), già assistente di Richard Avedon e docente al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, porta nel mondo i suoi stilemi: armonia dell’imperfezione, indagine psicologica e studio antropologico attraverso la costruzione dell’immagine e dell’installazione ambientale. Le sue opere, esposte e apprezzate su scala internazionale, sono protagoniste di pubblicazioni e documentari dedicati, tra gli altri, da Sky Arte (Fotografi, 2013) e da Rai5 (The sense of beauty, 2017) e sono presenti in collezioni pubbliche e private tra cui quelle del Ministero degli Affari Esteri alla Farnesina (2014), del MAXXI (2015), della Fondazione Orestiadi (2018). Sabbagh è stato riconosciuto, da uno storico dell’arte quale Peter Weiermair, come uno dei 100 fotografi più influenti al mondo.
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