STATIONTOSTATION - TECHNE CONTEMPORARY ART

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REGGIO CALABRIA CENTRALE
BUNKER
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ANGELA PELLICANO'
Sciafilia, 2021
installazione site-specific, dimensioni ambientali

«Sto riflettendo sulla capacità che alcune specie vegetali solo in apparenza fragili hanno avuto, adattandosi agli sconvolgimenti del pianeta. Ho creato un sacrario di teche, comunemente chiamate terrari, che possano restituire una frammentazione di paesaggio colonizzato dai muschi. Piccole piante che ci hanno preceduto e che, con evidente possibilità, ci resisteranno. Installare una sequenza di volumi sigillati con uno scarto minimo di riciclo dell’aria – o, addirittura, in un sistema ermetico già definito Teca di Ward – mi dà la possibilità di riflettere di viaggi botanici e non, utilizzando Wardian cases e ipotizzando un prima e un dopo il viaggio, momento nel quale i confini vengono definitivamente abbattuti. il contenuto delle teche è indicativo della resistenza del muschio, già presente sulla terra da più di quattrocento milioni di anni, e della sua straordinaria funzione, poiché ha stimolato la produzione di anidride carbonica nell’aria, ha preparato il suolo per la crescita delle prime piante e, in circa quaranta milioni di anni, ha aumentato l’ossigeno nell’atmosfera: quello che noi oggi possiamo respirare e, per questo motivo, esistere. L’idea di creare un sistema speculare e di riflessione tra il bunker e le piante mi è parsa del tutto naturale».



PINO CALMINITI
Polifemo al luna park, 2021
installazione site-specific, dimensioni ambientali

«Un ex bunker.
Un riparo nascosto, scavato sotto un non luogo.
Un rimedio di ferro e cemento contro il male. Quasi un secolo fa.
Oggi il demone non viene dall’alto. Viaggia senza bagagli, scalzo, impalpabile e invisibile.
I nuovi bunker hanno l’ascensore, l’aria condizionata, il bagno e le finestre.
Prigioni attrezzate, dagli odori familiari.
Ognuno la sua, ognuno per sé.
Ancora rifugi, ancora paure, ancora impotenze.
Polifemo al Luna Park è questo: una risposta, una reazione, un urlo contro le minacce, le angosce, gli incubi – collettivi e individuali – che vengono all’umanità a ogni tornante della storia.
Un non-luogo, la stazione, con un altro non-luogo, il mito.
Binari che corrono verso un unico bisogno, la libertà, il viaggio, l’incontro.
Il Luna Park è una fabbrica: di sogni, di fantasia, di scoperte e di emozioni.
Polifemo non lo sa, ma qui è redento, non mangia carne umana, non è più bestia, non incute terrore.

Se giganteggia è solo per indicare, anche a chi guarda distrattamente e da lontano, che il luogo della fuga, dell’evasione, dell’estraniamento è lì, intorno al suo gregge, nel villaggio fantastico dove tutto è risolto, e dove l’universalità mette finalmente le cose al loro posto.».



zeroottouno
Italia, 2021
installazione luminosa

L’installazione di zeroottouno per Station to Station nasce da una riflessione sul momento storico, politico, economico che l’Italia sta vivendo. Una forte crisi identitaria, alimentata da una frammentazione dei valori e da una soglia dell'attenzione talmente bassa da consentire a chiunque si presenti sul grande palco offerto dai media di essere applaudito, sostenuto e seguito.
A tutto ciò si aggiunge una comunicazione nei riguardi del proprio popolo fuorviante, pilotata, sempre più spesso allarmista. È proprio attorno al tema della comunicazione che l’opera invita a riflettere. Italia gioca con i sensi dello spettatore, generando un corto circuito tra quello che si legge e quello che si percepisce.


Grazia Bono & Gianni Brandolino  
Knightfish un pesce in camera doppia, 2021
scultura rivestita in carta disegnata, sale, dimensioni ambientali

Epilogue
“Una apologia ermeneutica di una selva si pone come devoluzione
sul mistero astante dell’esistenza.
L’acqua rappresenta il territorio di una cristallizzata involuzione
e testimonianza di un futuro inerme.
Il bunker diviene circostanza di una protezione apocalittica distante
dal luogo e dallo spazio di un tempo immobile.
Il pesce segna l’apparenza di un errare urbano trascinando città invisibili
nella direzione di una bussola incantata.”


TechneLab
50persone, 2021
Installazione site-specific, ceramica, dimensioni ambientali

50persone è l’installazione site specific che presenta TechneLab nella sala macchine di questo bunker, recentemente restaurato e reso fruibile dopo quasi un secolo. Questa unità di misura indicava la capienza e la portata massima del rifugio in caso di evacuazione dalla superficie. Il bunker, dotato di un meccanismo generatore mediante una dinamo a pedali, non è mai entrato in funzione. L’installazione, composta da cinquanta sculture in ceramica, interagisce con il preesistente e va a sottolineare le tracce di erosione sui metalli che compongono il nuovo scenario, ctonio, muto e svelato. All’ingresso, una ruota in ceramica liberata dagli ingranaggi lascia intuire, in tutta la sua potenza visiva, il dispositivo della dinamo ormai andato perduto.


Felipe Perez
You are not what you seem, 2021
scultura in ceramica, pigmento e specchio nero - 55 x 31 x 28 cm

Una scultura zoomorfa ci invita a compiere un viaggio interiore attraverso un altro continente, un'altra epoca, avvicinandoci a una delle grandi civiltà precolombiane mesoamericane: i Mexica, gli Aztechi. Tezcatlipoca (specchio fumante in lingua nahuatl) è uno degli dei più importanti dell’antico politeismo messicano dalle fattezze di giaguaro, predatore notturno la cui simbologia rimanda alla paura dell’oscurità. Dio della notte e delle tentazioni, Dio della bellezza e della guerra, il suo specchio, sprigionando fumo, è in grado di uccidere i suoi nemici, ma soprattutto è in grado di riflettere le azioni dell’umanità. You are not what you seem è un’opera che esorta ad affrontare la dimensione ancestrale della paura, che invita a guardare dentro lo specchio per cogliere, nel riflesso, il proprio sé denudato da tutte le sovrastrutture e dai filtri che la socialità, surrettiziamente, impone.


Francesco Petrone
33’’ | Inizio | LockNow, 2021
installazione video a tre canali – testo critico a cura di Giuseppe Capparelli

Le tre installazioni video proposte da Francesco Petrone si allineano, per come dichiara l’artista, con le ricerche artistiche del regista americano David Lynch. Il culto del posizionamento e dell’inquadratura perfetta permeano
l’universo immaginario di Petrone, che nella costruzione dei suoi lavori definisce teatralmente ogni singolo dettaglio. I tre video presentati a Station to Station sono materializzazione del proprio tormento, del conflitto fra il proprio dentro emotivo e l’esteriorità. Le sue sono cartoline di un paesaggio lontano, di un miraggio evanescente. Il luogo dove avviene il cambiamento e la sublimazione del proprio inconscio è rappresentato con lentezza. Questo è lo spazio di un tempo infinito e circolare, dove si manifesta il racconto di un’opera senza tempo. La sua cronaca è la trasposizione di un percorso interiore che si svolge nella ripetizione infinita di un labirinto senza uscita, di un loop imperituro e immaginario. I riferimenti cristologici, che spesso utilizza nei suoi lavori, come nel caso dell’opera 33” qui presentata, riflettono quelle necessità di avvicinamento alla spiritualità definibili come tentativi di transustanziazione: l’artista muore e risorge nella propria opera. La fine coincide con l’inizio, l’inizio con la fine.
(dal testo critico di Giuseppe Capparelli)



MESSINA MARITTIMA
SALONE DEI MOSAICI
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Mustafa Sabbagh
anthro-pop-gonia, 2015
installazione audio-video: 7 video HD su 7 schermi LCD, color, loop, dimensioni ambientali

La grande storia dell’umanità, come rilevava Borges, è la costante riattualizzazione del mito; invitato da Station to Station, Mustafa Sabbagh reinterpreta il tópos classico del viaggio attraverso la sua celebre installazione video anthro-pop-gonia, dittici orfici che contestualizzano un uomo nel suo Parnaso metropolitano, piaceri cinetici figli dello stesso appagamento transitorio di una partita vinta a God of War.
Alle origini della cultura, il mito è icona. Nella storia dell’arte, è iconografia. Nella cyber-era contemporanea, immediata e morbosa come una chat-room, il mito è iconoclasmo: non più la devozione di Pigmalione, il pegno d'amore di Arianna, l'eroismo fondativo di Teseo, ma la loro immagine avatar, foto-profilo da social, patologia narcisistica auto-innamorantesi.
Come in un sim-po(p)-sio di dei pronti a fare festa, come un’anthro-pop-gonia la cui massima generatrice è di vizio, virtù, il compendio di mitologia contemporanea di Mustafa Sabbagh è ambientato in un Olimpo(p) di uomini il cui mito, la storia da raccontare, è esattamente il vizio che li connota, la cui mitizzazione è data dalla sua stessa mediatizzazione: dimmi che vizio hai, e ti dirò che mito sei.


NINNI DONATO
“Qui non sbarcherà mai nessuno”
2021 - Installazione site specific - dimensione ambiente
@ Salone dei Mosaici, Stazione di Messina Marittima

Incastonato nella parete rivestita di travertino, il grande mosaico progettato da Michele Cascella rappresenta la Sicilia al centro dell’Impero in un anno patinato e apparentemente lontano da quanto sarebbe accaduto in Europa da lì a poco. Un’opera monumentale, almeno quanto l’architettura che la contiene, ma priva dell’essenzialità di quest’ultima. È accaduto spesso in passato di osservarla, durante i tanti attraversamenti dello Stretto, ma è un ricordo labile quanto l’imbiancatura a calce che per tanti anni nascose la figura di Mussolini, adesso restituita alla storia dopo l’ultimo restauro e la definitiva riapertura al pubblico in occasione di Station to Station.
Durante il sopralluogo è maturata nell’artista l’idea di interagire con quella visione operando, col senno di poi, una dissezione del messaggio propagandistico implicito nell’opera, una restituzione al presente degli slogan originari, traslati in una realtà che si è trasformata nelle situazioni, ma non nei messaggi. Certamente una visione politica ma non politicizzata, forse non completamente oggettiva, ma disincantata. Una scritta neon, in courier come il font delle vecchie macchine da scrivere, dove le parole non e mai sono barrate – a operare una cancellazione che altera il senso della frase, un cortocircuito tra l’obiettività del documento e la astoricità della tradizione orale legata al mito omerico. Un’affermazione perentoria che, nella sua collocazione dentro quello che era il principale luogo sbarco nell’Isola, ha il sapore amaro della premonizione anche riguardo al destino del luogo, ormai privato della sua funzione originaria.

«In Qui non sbarcherà mai nessuno Ninni Donato riprende un elemento cardinale della sua poetica, l'intervento sulla storia, affrontando in modo chiaro e sottile l'imponenza celebrativa del mosaico di Cascella, un tempo imbiancato – presenza quasi fantasmatica nella sua memoria e coscienza. Con esattezza chirurgica l'artista riprende le parole di un discorso mussoliniano a Palermo del 1937 decostruendone la retorica, convergente con lo stereotipo di una Sicilia strumentalizzata. Isolate, analizzate, contraddette, quelle parole risuonano, come un memento, nella polis di oggi. Elementi classici dell'operazione concettuale – il lavoro sul discorso, il neon, la cancellazione – sono qui utilizzati con rigorosa essenzialità: lezione etica, prima che di stile, quanto mai preziosa».
(dal testo critico di Bianca Pedace)


Lucilla Ragni
Tra le terre, 2021
installazione site-specific, mixed media, dimensioni ambientali – testo critico a cura di Bianca Pedace
@ Salone dei Mosaici, Stazione di Messina Marittima


Lucilla Ragni esporrà una recente serie di opere appositamente realizzate per Station to Station.
Una scritta su un muro dell'ex Mattatoio di Perugia è rimasta impressa nella memoria dell'artista, innescando una intensa riflessione creativa. Allo scolorire della memoria Lucilla Ragni ha dedicato un lungo percorso, che oggi la porta a focalizzare l'attenzione sulle tracce di antiche civiltà e a eleggere a tema il luogo, fisico e simbolico, del Mediterraneo. Immagini connesse al Mare Nostrum, alle vicende, ai passaggi, alle tragedie che lo caratterizzano, sono state sottratte all'oblio, allo scorrimento incessante, di fronte al quale siamo come anestetizzati.
Isolate, profondamente guardate, sono poi state stampate su carta a getto d'inchiostro e trattate pittoricamente con tecniche miste. Giungendo a una non-riconoscibilità dell'immagine iniziale, se ne svela tuttavia un significato celato; giocando con la nostra percezione, tendendole salutari trappole, rivelando le sue implicite censure l'immagine giunge a uno statuto nuovo, che le consente di liberare la sua vera evidenza e di liberarsi della forzata impermanenza cui la nostra distopica contemporaneità la condannava. Il segno, insistito, grafico, talvolta cancella, talvolta obnubila la visione, portando con sé una riflessione sottile e pungente, non solo sull'odierno statuto delle immagini ma anche sull'odierno statuto della pittura, sentita come avventura di possibile conoscenza – un eroico e misterioso vedere attraverso – e, al tempo stesso, come esplorazione della condizione umana. Il colore, a volte evidente, altrove sommesso o scuro, vibra e si muove, impercettibilmente, come in un moto ondoso, reso più inafferrabile dai lievi ispessimenti e dalle opacità della tecnica antica dell'encausto.
Il lavoro sul segno è affrontato anche in uno svolgimento paradossalmente scultoreo. I confini stessi del Mediterraneo, il profilo delle sue coste sulla mappa divengono un disegno e poi un nastro, forse un groviglio, forse uno scheletro. Una scultura di carta armata e cera appesa a un gancio, come il bue di Rembrandt, porta avanti e chiude il cerchio: dalla scritta sul mattatoio al Mediterraneo divenuto un mattatoio, nella risonanza antica di navi, scambi, commerci, pirati, eserciti, migrazioni, non c'è che un passo; l'opera vive in bilico tra la dimensione della memoria, storica e umana, e del memorial.
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